Non sono capace di fare tantissime cose. Non so cucinare, sono imbranato nei comuni lavori manuali, non riconosco profumi e sapori, non ho genio creativo, ho un pessimo rapporto con tutto ciò che è contabilità, fatico a socializzare in gruppo, non so andare in bicicletta senza mani, sono molto lento nello scrivere un testo. La lista personale delle incapacità è ancora lunga e, a voler approfondire, si direbbe addirittura infinita – ognuno a modo suo ha delle piccole alterazioni cognitive che lo rendono unico.
Una cosa però mi vien bene fin da bambino: osservare.
Le persone che più mi voglion bene direbbero che la contemplazione viene naturale a chi ha la pigrizia come vizio capitale, ma mi piace pensare che la capacità di osservazione possa modificare la pigrizia in quell’ozio ad accezione latina inteso come tempo libero dalle occupazioni abituali dedicato a cure, studi, pensieri. Tempo non perso quindi ma tempo vissuto lentamente, assaporato e goduto, tempo come strumento di cura.
Se il tempo dell’ozio è quello concesso a latere della routine quotidiana, lo spazio proprio dell’ozio per me è rappresentato dal giardino. Da sempre consapevole dell’importanza che riveste il contatto con la natura, negli ultimi anni questo legame rivendica sempre più il suo ruolo per il mio personalissimo benessere, forse come reazione alla frenetica vita cittadina o alle notizie sconfortanti sul cambiamento climatico o semplicemente come mezzo di straniamento e ritrovamento assieme: ho dei ricordi dolcissimi di ore trascorse sul balcone a identificare neonate piante e melodie di uccelli nei giorni più bui del lock-down, quando da rianimatore al primo impiego mi sono trovato catapultato in mezzo a uno scenario bellico.
Ecco quindi perché ho aderito con piacere a Stazione Radio e in particolar modo alla progettazione del relativo giardino, avendo soprattutto la fortuna di collaborare con persone eccezionali con le quali si condivide una precisa idea del luogo che vogliamo creare: un giardino selvaggio ove siano assicurati spazio e importanza all’ambiente circostante, un’oasi in cui l’intervento umano sia limitato al minimo per riscoprire ciò che la natura ha da insegnarci, un terreno di inclusione ai margini della città, un rifugio di lentezza a misura di persona aperto a coloro che hanno occhi per vedere e orecchie per sentire.
Di sicuro non troverete pratini all’inglese, torri vegetali, esotismi botanici o siepi sagomate – crediamo fortemente che anche il giardino, così come tutto ciò che attiene a Stazione Radio, debba essere sostenibile e pertanto favoriamo la flora spontanea con necessità limitate di irrigazione e manutenzione, anche in considerazione di un clima sempre più mediterraneo e di risorse idriche da tutelare.
Il nostro giardino vuole essere un laboratorio più che una vetrina, uno spazio di apprendimento e non di esibizione, una scuola nella quale si possa riscoprire la meraviglia della natura che ci circonda a partire da quelle piante che più diamo per scontate ma la cui storia è strettamente legata alla nostra.
Sapete che l’infestante ailanto fu importato dalla Cina dell’Ottocento per coltivare un particolare baco da seta?
E che la semplicissima piantaggine ha viaggiato per tutto il mondo sotto le suole delle scarpe dei nostri antenati tanto da meritarsi l’appellativo inglese di “impronta dell’uomo bianco”?
Che dire dell’antico utilizzo del Galium mollugo come caglio vegetale o del recente brevetto del velcro sulla scorta dei semi di Arctium lappa?
Esiste geometria più perfetta del soffione del tarassaco oppure colore più gioioso del rosso dei papaveri spontanei?
Come non meravigliarsi nello scoprire che il bianco ombrello floreale della carota selvatica si è evoluto per riprodurre al centro un piccolo fiore nero in modo da attirare gli insetti?
Impollinatori e uccelli banchettano con la cinese Buddleja daviddi e la nordamericana Phytolacca, mentre silene, erba viperina e topinambur sono ingredienti di molte ricette dimenticate.
Stazione Radio, centrandosi su sostenibilità e territorio vuole essere anche questo: uno strumento per la diffusione della conoscenza del contesto in cui viviamo, riscoprendo le piante come nostre compagne di viaggio, non più “erbacce” senza scopo ma miracoli di resistenza e integrazione che insegnano a vivere in comunità nel rispetto dell’altro e dell’ambiente. Le piante selvatiche, infestanti, pioniere o vagabonde che dir si voglia, svolgono un lavoro essenziale per la vita sul nostro pianeta e lo fanno da milioni di anni senza clamore e con immensa generosità – è ora di riconoscere loro il giusto merito.
Osservando bene tra alti verbaschi e cespugli di assenzio di recente ho colto il primo fiore di una rosa canina spuntata dal nulla, segnale di buon auspicio per il futuro di Stazione Radio e non solo: a volte per meravigliarsi basta solo osservare. Non sono capace di fare tantissime cose e va bene così.